“La guerra tra Israele e Iran. Come siamo arrivati a questo punto” di Gaetano Riggio

"La guerra tra Israele e Iran. Come siamo arrivati a questo punto" a cura di Gaetano Riggio

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio


La guerra tra Israele e Iran. Come siamo arrivati a questo punto

L’eredità della storia

Come i debiti che a volte i genitori lasciano ai figli, anche il conflitto in Medio Oriente è un’eredità, che noi abbiamo ricevuto direttamente dai nostri padri, vale a dire dalle principali potenze europee che hanno letteralmente dominato il Medio Oriente tra Ottocento e Novecento, nell’epoca classica dell’imperialismo e del colonialismo europei.
Diciamo che l’Iran (chiamato tradizionalmente Persia dalle nostre parti, erede del millenario Impero persiano) è l’unica potenza dell’Asia occidentale che mantiene, non senza difficoltà e momenti difficili, la propria indipendenza, mentre tutta l’Africa settentrionale, e poi le province dell’ex Impero ottomano dopo il suo crollo nel 1922, subiscono la diretta dominazione coloniale della Francia, e dell’Inghilterra. Questo spiega non poco del suo antagonismo irriducibile nei confronti dell’imperialismo a stelle e strisce.

Certamente, anche in Persia operano le influenze modernizzatrici e occidentalizzanti, mentre le maggiori potenze competono per farvi valere i propri interessi e la propria penetrazione economica, a cui però si oppone un fiero nazionalismo autoctono.
Ma è nelle province dell’ex Impero ottomano che si afferma il dominio imperialista e coloniale dell’Occidente, con una spartizione tra Francia e Inghilterra secondo linee di confine in parte tracciate dai nuovi padroni.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, il dominio coloniale della Francia arriva a comprendere gli attuali Stati del Marocco, dell’Algeria, della Tunisia, e, sotto la forma giuridica del Mandato, della Siria, e del Libano. L’Inghilterra vanta il Protettorato sull’Egitto, e i Mandati sulla Palestina, e sull’Iraq, nonché un’importante influenza anche sugli Emirati della penisola arabica.

Il dominio europeo sul Medio Oriente si consolida ed estende dopo la Prima Guerra Mondiale, quando Francia e Inghilterra si spartiscono le spoglie dell’Impero Ottomano, data l’impotenza delle regioni arabe dell’ex Impero a far valere i loro diritti.
Mentre infatti il principio di autodeterminazione dei popoli, dettato dal presidente americano W. W. Wilson alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919, viene fatto valere in Europa, gli arabi vengono letteralmente presi in giro, dopo essersi rivoltati contro i turco – ottomani proprio sulla base della promessa fatta da Francia e Inghilterra di concedere loro la possibilità di formare uno Stato – nazione arabo.
Non soltanto vengono dunque sottoposti al governo dei Mandati anglo – francesi, ma con la Dichiarazione Balfour (1917), pur in un contesto di declino del colonialismo europeo, gli inglesi permettono agli ebrei d’Europa di emigrare in Palestina con la promessa di potere creare in quelle terre un proprio Stato: mossa sciagurata, foriera della catastrofe che oggi stiamo vivendo.
Soltanto il nucleo centrale dell’ex Impero ottomano sfugge al destino della sottomissione coloniale all’Europa, con la nascita della Turchia moderna, sotto la guida di Mustafa Kemal Ataturk, che avvia una vasto programma di modernizzazione fino ad abolire la Sharia, e creare uno Stato laico, ma non senza avere prima combattuto strenuamente contro Inghilterra e Grecia per salvaguardare l’indipendenza del proprio paese.
A questo stadio, soltanto l’Iran e la neonata Turchia sfuggono al dominio coloniale europeo, non a caso entrambi centri di imperi secolari, ma capaci pure di modernizzarsi.

Negli altri paesi il giogo coloniale, o è gestito dalle élite locali disposte a collaborare con i dominatori, godendo dei privilegi del governo in qualità di esecutori della volontà dei padroni occidentali, oppure genera un’opposizione di due tipi: laica e nazionalista da una parte, religiosa e fondamentalista, dall’altra.
La decolonizzazione, che si compie dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, non inaugura, se non in parte, una nuova era di sviluppo ed emancipazione dall’egemonia occidentale.
I paesi arabi e/o islamici pur ormai indipendenti, non riescono a sottrarsi facilmente alla sottomissione neo – coloniale alla nuova potenza egemone, gli Stati Uniti, perché ancora impelagati in un processo iniziale e contraddittorio di modernizzazione e industrializzazione.
La debolezza degli Stati arabi risulta evidente e umiliante fin dall’inizio nell’incapacità di opporsi con azioni militari di successo alla proclamazione unilaterale della nascita dello Stato di Israele nel maggio del 1948, e alle tragiche conseguenze che ha comportato: dalla pulizia etnica a danno dei palestinesi, alla loro deportazione nei campi – profughi, fino all’occupazione illegale da parte israeliana delle terre spettanti ai palestinesi, e di altre porzioni di territorio appartenenti a Egitto e Siria.
Le élite di governo non riescono a consolidare il loro potere e ottenere piena legittimità popolare, perché corrotte e inefficienti, e perciò dipendenti dall’appoggio straniero, anglo – francese, e poi americano, per rimanere al potere, il che ridà forza all’opzione nazionalista o religiosa.
L’opzione religiosa, in una forma originale e dirompente, ottiene il pieno successo nell’Iran, dove trionfa la rivoluzione islamica, e nasce la Repubblica islamica dell’Iran (1979), sotto la guida dell’ayatollah Ali Khomeini. Due sono i pilastri ideologici della Repubblica islamica: la lotta contro l’imperialismo e il neocolonialismo, e il rigetto, anche se non in toto, della civiltà occidentale.

Da questo momento, l’Iran diventa il nemico numero uno dell’Occidente e degli USA, che non sono disposti a rinunciare al controllo di una regione divenuta strategica, e che puntano sul baluardo neo – coloniale dello Stato di Israele come base militare permanente.
Da questo momento, l’Iran “delenda est”, perché sfida il dominio americano, e costituisce un pessimo esempio che incoraggi altri ad emularla! E soprattutto, l’Iran è apertamente antisionista, e dunque irriducibile nemico di Israele, Stato che incarna la volontà europea e americana di mantenere una presenza egemonica di tipo neocoloniale in Medio Oriente, nonché simbolo della sottomissione umiliante del mondo islamico all’Occidente. Chi non accetta di normalizzare i suoi rapporti con Israele, cade sotto il mirino del fucile puntato di Washington.
Anche in altre regioni del Medio Oriente allargato, avvengono importanti cambiamenti, sotto forma di rivoluzioni nazionaliste promosse da ufficiali dell’esercito, le quali hanno successo per le ragioni sopradette: rovesciano un potere corrotto e inefficiente, contestano la dominazione neo – coloniale degli USA appoggiandosi all’Unione sovietica.
I principali paesi interessati a questi cambiamenti sono la Libia, la Siria, l’Iraq, che assumono una postura antiamericana e antimperialista, analogamente all’Iran, anche se sono molto diversi, in quanto l’Iran non è arabo, ma persiano, non è sunnita, ma sciita. Ma soprattutto, Libia, Siria e Iraq, anche se retti da regimi autoritari,
fanno una scelta laica e modernizzatrice in senso occidentale, anche se antiamericana e antisionista, e non teocratica.
Ma anche questi paesi avranno un gramo destino perché gli Stati Uniti, con il braccio operativo di Israele, approfittando altresì delle divisioni interne al mondo islamico, faranno di tutto per destabilizzarli, innescando guerre civili, cambi di regime, finanziando fazioni e gruppi terroristici.

I paesi arabi più stabili sono gli Emirati della Penisola arabica, dove nuove dinastie regnanti, di origine tribale, si garantiscono un potere dispotico stabile optando per l’asservimento agli USA, i quali in cambio forniscono aiuto e sostegno militari e finanziari, e chiudono un occhio su come esercitano il potere. Mi sto riferendo alle monarchie del Golfo Persico, in primo luogo all’Arabia Saudita, al Qatar, agli Emirati Arabi Uniti, paesi divenuti di importanza strategica per le loro risorse energetiche. Dobbiamo aggiungere a questa lista anche altri Stati come l’Egitto, la Giordania, il Libano.
I paesi più stabili sono quelli che accettano, per cinico calcolo di potere, di essere funzionali all’egemonia occidentale degli USA, e che in aggiunta godono della rendita finanziaria dei petrodollari, che aiuta a mantenere il consenso popolare, o comunque a limitare il dissenso.
Caduta l’Unione Sovietica, che faceva da contrappeso all’egemonia USA, l’opzione antimperialista e antiamericana segna il destino di paesi come l’Iraq, la Siria, la Libia, e ora toccherebbe all’Iran.
Un’arma formidabile usata da USA-Israele sono le divisioni interne al mondo arabo.
Il primo a cadere è l’Iraq, dittatura laica e progressista, in ascesa economica, ma troppo strategico per lasciarlo andare da solo, troppo antisionista.
Il caos alimenta il caos. La crisi economica e le divisioni settarie fanno il gioco di USA e Israele, che con il supporto degli Stati servi del Golfo (Arabia Saudita e Qatar, Bahrein, EAU) alimentano in Siria la guerra civile e il terrororismo dell’Isis, dando un colpo decisivo alla Repubblica laica di Siria, e al potere degli Assad, troppo antisionista, troppo antiamericano. Qualche anno prima, era toccato alla Libia di Gheddafi.
Quando parliamo di Siria, Libia, Iraq, parliamo di paesi che pur governate in modo autoritario, erano paesi laici e progressisti, pluralisti in campo religioso, aperti all’emancipazione delle donne, con un sistema di istruzione e livelli medi di reddito che lasciavano ben sperare. Da questo punto di vista, Arabia Saudita, Qatar, Bahrein eccetera non erano migliori. Anzi.
Hanno avuto la colpa imperdonabile di essere irriducibilmente ostili all’imperialismo americano in Medio Oriente, e apertamente antisionisti, indisponibili a riconoscere uno Status Quo che calpestava i diritti dei palestinesi, e vedeva Israele occupare illegalmente i territori altrui. In questi paesi regnano ora il caos e la devastazione, con sofferenze indicibili delle popolazioni.
Non è un caso che a normalizzare i loro rapporti con Israele sono gli Stati vassalli degli USA, in primo luogo le monarchie del Golfo, e poi Giordania e Egitto, paesi governati da élite di potere che avrebbero i giorni contati senza il sostegno americano.
Il cosiddetto asse della resistenza, a questo punto, non è altro che un coordinamento a guida iraniana per difendersi e reagire all’attacco americano e israeliano, formato da Iran, e da altri focolai di resistenza, indisponibili a servire il padrone americano: gli sciiti dello Yemen, gli sciiti dell’Iraq, gli sciiti del Libano (Hezbollah), e le formazioni palestinesi che alimentano la resistenza del proprio popolo contro Israele, la cui oppressione ha assunto prima la forma dell’apartheid, ora del genocidio.
A fare precipitare ora la situazione, incidono due situazioni: da una parte, per Israele si è avvicinato il momento della resa finale dei conti, avendo optato non per il tentativo della convivenza con i palestinesi, ma per il suprematismo ebraico e lo Stato etnico, opzione che comporta uno scontro finale, teso a ripulire Israele di ogni traccia di presenza arabo – palestinese, e a liquidare i nemici rimasti, che potrebbero minacciare l’esistenza del grande Israele in costruzione.
Da 23 ottobre 2024, è iniziata la guerra finale per eliminare i palestinesi, e liquidare i nemici esterni: prima Hezbollah, e Hamas, fortemente indeboliti ma non sconfitti, con concomitante genocidio, poi la Siria. A questo punto è rimasto solo l’Iran.
In concomitanza, è giunta a un punto critico la competizione globale, in cui l’egemonia unipolare statunitense è messa in discussione dai paesi BRICS, capeggiati da Cina e Russia, ma in cui ha un ruolo essenziale l’Iran, in cerca di nuovi partner strategici per opporsi all’annientamento progettato da Stati Uniti e Israele.
Attaccare l’Iran equivarrebbe ad attaccare indirettamente Russia e Cina, e sarebbe un’altra fase della guerra mondiale a pezzi iniziata nel 2022 con l’Operazione Militare Speciale russa in Ucraina
La decisione di attaccare l’Iran risponde agli interessi strategici di Israele e Stati Uniti: il primo vuole eliminare la potenziale minaccia iraniana allo Stato suprematista ebraico, gli altri non avere più rivali e oppositori nel controllo del Medio Oriente, e così sferrare un colpo decisivo a Russia e Cina, e dunque al progetto di un mondo multipolare liberato dall’egemonia degli Stati Uniti.
L’eventuale decisione statunitense di scendere direttamente in campo, o anche soltanto di intraprendere un’altra guerra per procura, mentre quella contro la Russia è ancora in corso, ci precipiterebbe verso uno scontro globale dichiarato tra gli Stati Uniti e i suoi vassalli da una parte, e il cosiddetto Sud Globale, che è ormai sulla via dell’emancipazione dal dominio unipolare degli USA dall’altra.
L’epoca in cui gli USA facevano le guerre di annientamento degli Stati che osavano sfidare la loro egemonia, pare avviarsi al tramonto, sia pure nell’incubo di uno scontro nucleare tra le grandi potenze.

Gaetano Riggio


Segui gli altri “Spunti Letterari” di Gaetano Riggio qui:

https://www.carlettoromeo.com/category/lo-spunto-letterario/

carlettoromeo.com è un blog multimediale senza alcuna sovvenzione pubblica…
Se ti piace quello che facciamo, condividi i nostri articoli sui social…
Se vuoi sostenere il nostro lavoro, puoi farlo con una libera donazione Paypal
GRAZIE

Lascia una risposta

Carletto Romeo