Carletto Romeo
I ‘Mbidiusi
I ‘Mbidiusi
I ‘Mbidiusi
Allividuti da cima di capigli
Scindendu paru finu a sutta i scarpi
Sunnu cert’omini
Chi n’dannu sutta a pegli,
Risentimentu chi striscia comu serpi
Sutt’occhiu guardanu comu ti movi movi,
I meriti i l’atti ped’igli sunnu chjiovi
Palori mali tenunu ‘mmucciati
Rridunu pocu, su ssempi ‘mmancupati
Sunnu i ‘Mbidiusi e chista è na certizza
Nesciuni e morunu cu chista debulizza
U mali i l’atti diventa nu cunortu
Pigghjianu forza si tuttu vaji stortu
Randi prosperità o felicitati
Diventanu malocchiu e forficati
Pe’ chistu resta leggi e fattu certu:
…si mori cchiu’ di ‘mbidia ca d’impartu!
Gli invidiosi
Dalla cima dei capelli illividiti
fin sotto le scarpe scendendo pari pari
sono certuni che han sotto la pelle
un risentimento che striscia come serpe.
Sottecchi guardano come ti muovi,
i meriti altrui son come chiodi
Cattivi pensieri ben celati
ridono poco, son sempre incupiti.
Son gli “invidiosi” e questa è una certezza
nascono e muoiono con questa debolezza
il male altrui per loro è conforto
diventan forti se tutto va storto.
Grande prosperità o contentezza
diventano malocchio e maldicenze
Per questo resta norma e fatto certo:
…si muore più d’invidia che d’infarto.
Martin
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Tratto profondamente umano l’invidia, qui evocata poeticamente in vernacolo sidernese, con la durezza contrastiva dei suoni, con i colori foschi e cupi che rendono con efficacia lo stato d’animo della malinconia risentita, con la paradossalita delle emozioni coinvolte nella sua dinamica.
È un mistero l’invidia, con cui l’uomo esprime la sua rivolta nei confronti del cosmo, che gioca enigmaticamente ad assegnare a ciascuno la sua parte…
Per spiegarmi meglio.
Questa rivolta la ritroviamo espressa in Leopardi, quando a chiusura del “Canto notturno”, esclama: “Forse se avess’io l’ali /da volar su le nubi… /O come il tuono errar di giogo in giogo/… /Più felice sarei…
Leopardi ambirebbe -e con lui l’uomo in generale – alla parte di uccello o di tuono, e non soltanto a quella di bipede mortale, ancorato alle terra.
Ma anche nella favola di Fedro, “La rana e il bue”, alla radice della tracotanza mortale della rana, è sempre l’invidia, che innanzi tutto è “hybris” , sfida arrogante lanciata agli dei, e al loro ordinamento del mondo, che enigmaticamente l’hanno strutturato secondo un principio di sproporzione, che assegna parti quasi incommensurabili a categorie di individui diversi… Ecco perché la rana vorrebbe diventare bue.
Esopo è qui il portatore della saggezza greca, che sempre richiama al senso del limite, costitutivo dell’umano, e a non sfidare gli dei!
Grazie Maestro Riggio per i graditissimi contributi, un privilegio per questo blog avere degli autori che, tra l’altro, interagiscono tra loro.