Il Cielo in una Stanza

Il cielo in una stanza di Gaetano Riggio: L’autosufficienza dell'amore, in alcune analogie di John Donne.

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio

L’AUTOSUFFICIENZA DELL’AMORE, OVVERO IL CIELO IN UNA STANZA, IN ALCUNE ANALOGIE DI JOHN DONNE

Non solo gli amanti sono “uno”, afferma J. Donne afferma nella canzone “Congedo” (Valediction), al verso 19: “our two soules therefore, which are one” (“le nostre due anime che sono dunque una sola anima”), ma anche bastevoli l’uno per l’altro: non hanno cioè bisogno di altri annodi ed allacci, perché non soffrono la mancanza di qualcosa, non hanno spazi vuoti da colmare, che non siano già saturi.

Come infatti afferma nella canzone “Canonization” (“La canonizzazione”) ai v. 38 – 39, l’amore fa degli amanti un “muto romitorio” (“reverend love Made // one anothers hermitage”): sono l’uno l’eremo dell’altro, vale a dire non semplicemente rifugio e asilo, ma soglia di accesso alla trascendenza, alla metafisica dell’amore.

Nell’eremo reciproco, che sono l’uno per l’altro, trova il suo centro l’anima del mondo, e tutto riassumono in sé: paesi. corti, città. (“Canonization”, vv. 40 – 45)

Lasciamo allora agli altri – così esorta il poeta rivolgendosi all’amata – di colmare il vuoto delle loro vite con surrogati profani:

“Let sea-discoverers to new worlds have gone, // Let Maps to other, worlds on worlds have showne”, versi 12 – 13 della canzone “Il buongiorno” (The good – morrow”), che nella traduzione di Cristina Campo recitano: “Restino alle nuove terre i navigatori, e mappe nuove scoprano ad altri mondi sopra mondi”.

Ma non è un esercizio di ascesi, di rinuncia mortificante: gli amanti non soffrono di rinunciare a nuove terre, e a mondi sopra mondi, non reprimono la cupidigia per un sussulto di orgoglio; né la rinuncia al viaggio e alla scoperta sono una resa all’indolenza e una chiusura ottusa nel “dejà vu”!

Ciò che vanamente gli “ottusi amanti sublunari (“Dull sublunary lovers”) cercano nel mondo mutevole, gli amanti realizzano nel microcosmo della loro relazione, che è immagine e analogia del macrocosmo, e dunque totalità piena:

“For love, all love of other sights controules, And makes one little roome, an every where.” (“The good – morrow”, vv. 10 – 11)

Nella traduzione di Cristina Campo: “amore ogni orizzonte chiude all’amore e di una cameretta fa un ognidove.”

Tutto è già compreso nell’amore: ogni dove (where), ogni luogo (sights). L’amore chiude ogni orizzonte nel senso che è l’orizzonte ultimo che tutto include, così come la cameretta è una totalità in miniatura.

Questa prospettiva è propria dell’”amore raffinato”, del quale il poeta afferma di ignorarne l’essenza, grazie al quale però “nella mutua certezza della mente meno curiamo perdere labbra, pupille, mani.” (Congedo, vv. 17 – 20).

Analogicamente, la totalità sferica del cosmo, che fa capo a Dio, si rifrange in quella transeunte, sul piano umano, degli amanti, che J. Donne paragona a due emisferi:

“Where can we finde two better hemispheares // Without sharpe North, without declining West? // What ever dyes, was not mixt equally; // If our two loves be one, or, thou and I // Love so alike, that none doe slacken, none can die.” (“The good – morrow, vv. 17 – 21)

Nella traduzione di Cristina Campo: “Dove trovare due piú limpidi emisferi // senza Nord affilato, Ovest caduco? // Equamente non fu mischiato ciò che muore, // se i nostri amori sono uno e tu ed io // cosí fratelli nell’amore che né l’uno né l’altro può mancare o morire.”

Il poeta e l’amata costituiscono due emisferi, che combaciano perfettamente nella totalità circolare dell’amore, che non patisce la caducità e la morte.

L’autosufficienza, o autarchia, dell’amore, non è certo da intendere in senso “laico”, in Jonn Donne: non è autonomia da Dio, perché si tratta di un “reverend love” (“Canonization”, v. …), di un “amore sacrale”. E’ proprio il suo ancoraggio in Dio, la sua portata metafisica, resa attraverso analogie e metafore rivelatrici, a farne una relazione che ha ragione della finitezza e della manchevolezza, che sono proprie delle relazioni umane, nella loro dimensione naturale e finita.

Ovviamente la poesia non è un trattato: la “dimostrazione”, o per meglio dire la “persuasione”, è il risultato suggestivo dell’arguzia retorica tipicamente barocca (wit, in inglese), che fa ricorso alle analogie più varie, che nelle immagini e nei concetti dell’esperienza rivelano quel che è nascosto.

Ma l’eco di alcune di queste analogie è giunta fino a noi, e riecheggia, per fare un esempio, nella canzone “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, dove il verso “Questa stanza non ha più pareti” è chiaramente una variazione dell’alchimia di Jonn Donne, che di una piccola stanza (“one little roome”) fa un “every where” (vedi v. 11 di “Il buongiorno”).


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Carletto Romeo