Dante politicamente scorretto? I Canti XI, XV e XVI dell’Inferno

Dante politicamente scorretto? I Canti XI, XV e XVI dell'Inferno. Il prof. Gaetano Riggio e i suoi spunti letterari dantesco-moderni.

Lo Spunto Letterario
di Gaetano Riggio

Dante politicamente scorretto? I Canti XI, XV e XVI dell’Inferno”

Mi accingevo a scrivere, quando sul sito “nicolaporro.it”, mi sono imbattuto in un articolo correlato al tema in oggetto, intitolato “Dante di destra. E’ una sparata, ma c’è del vero”, in cui il giornalista Giancristiano Desiderio commenta le dichiarazioni del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, il quale alla convention milanese di Fratelli d’Italia ha dichiarato quanto segue:

«So di dire una cosa molto forte, ma penso che Dante Alighieri sia stato il fondatore del pensiero conservatore italiano: la destra ha cultura – ha aggiunto il ministro – deve solo affermarla» (https://www.open.online/2023/01/14/governo-meloni-sangiuliano-dante-fondatore-cultura-destra/).

Giancristiano Desiderio non ha comunque la lucidità necessaria (non so se per scelta, opportunità o altro) per affrontare di petto la questione sollevata dal ministro, limitandosi a considerazioni banali e generaliste di scarso valore ( vedi https://www.nicolaporro.it/dante-padre-della-destra-e-una-sparata-ma-ce-del-vero/).

Faccio comunque notare che l’eredità di Dante, in quanto sommo poeta, filosofo, e teologo, nonché adepto della setta esoterica dei “Fedeli d’Amore”, è rivendicata anche, in nome della civiltà russa, da Alexander Dugin, noto filosofo russo, riconducibile al filone politico della destra conservatrice, in Occidente etichettato dai media come ideologo di Putin, guru, predicatore, talebano ortodosso, e simili.

Si leggano gli articoli “Dante, il genio cancellato” sul sito https://www.geopolitika.ru/it/directives/dante-cancellatto, in cui Alexander Dugin rileva come l’Europa postcristiana abbia sostanzialmente cancellato Dante Alighieri in quanto autore politicamente scorretto, mentre la Russia – aggiunge –, che non hai mai fatto veramente parte dell’Europa, si richiama proprio a quelle lontane radici, e a quella visione spirituale della vita, che ha nel poeta toscano una delle sue maggiori espressioni.

Non so quanto sarebbe imbarazzante per Sangiuliano dovere ammettere di condividere con Dugin la stessa eredità spirituale, una comune filiazione dallo stesso padre autorevole, ma sicuramente ha dimostrato più coraggio del giornalista Desiderio, che si è limitato a riproporre il solito Dante imbalsamato, ridotto a mero feticcio della cultura, e così via.

Ultimamente, la destra italiana ha preso le distanze dalla Russia (per le ragioni che conosciamo già), ma non c’è dubbio che una comune aria di famiglia connette le destre sovraniste, identitarie e conservatrici d’Europa e del mondo.

Ma Dante, è politicamente scorretto, e dunque rivendicabile come uno dei padri del pensiero di destra? L’Interpretazione “irenica” della sua poesia, alla quale aderisce il giornalista Giancristiano Desiderio, sfugge a questo interrogativo, in quanto presuppone, come se fosse scontato, che Dante abbia davvero molto da dire, ma poco o nulla da obiettare alla nostra società. Si ottiene così un Dante addomesticato, riconciliato con il presente: basta fingere di non notare, sorvolare, leggerlo antologicamente con scelte ad hoc, riadattarlo, e simili.

Il risultato è analogo all’atteggiamento politicamente corretto più intransigente, che riconosce l’incompatibilità di Dante con la visione neoliberale (è la tesi di Dugin), e dunque lo condanna, senza compromessi.

Esaminiamo allora i canti XI, XV e XVI dell’Inferno, esplicitando la visione filosofica e teologica che fa da fondamento sia all’ordine morale della società che al mondo ultraterreno.

Dante, guidato dal suo “duca”, il poeta latino Virgilio, si trova nel terzo girone del settimo cerchio, dove patiscono il supplizio eterno le anime dei sodomiti (oggi li chiameremmo omosessuali o gay, o diversamente sessuali, mi verrebbe pure in mente).

Quello che accomuna i sodomiti agli altri dannati del settimo cerchio è il peccato della violenza, la quale può rivolgersi contro il prossimo, sé stessi, oppure Dio e la natura:

“Di violenti il primo cerchio è tutto; // ma perché si fa forza a tre persone, // in tre gironi è distinto e costrutto. // A Dio, a sé, al prossimo si pone // far forza, dico in loro e in lor cose, // come udirai con aperta ragione.” (Inf., canto XI, )

Ovviamente, è diverso il modo in cui si fa violenza contro Dio e l’ordine naturale che egli ha stabilito, da quello contro il prossimo (omicidio) o sé stesso (suicidio):

“Puossi far forza ne la deitade, // col cor negando e bestemmiando quella, // e spregiando natura e sua bontade; // e però lo minor giron suggella // del segno suo e Soddoma e Caorsa // e chi, spregiando Dio col cor, favella.” (Inf., canto XI,)

La bestemmia è violenza verbale contro Dio, sfida virtuale lanciata dall’uomo impotente contro “Colui che tutto può” (“vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”, Inf., canto III ), che però è indizio della tracotanza o “hybris” che lo anima, per la quale egli rifiuta o contesta l’ordine del creato e i decreti divini che lo hanno posto in essere con un pathos che esprime odio distruttivo, ma anche aspirazione prometeica a “rifare il mondo!”, secondo la sua volontà, in contrapposizione a Dio medesimo!

Quell’ordinamento divino che il bestemmiatore contesta e sfida nell’aggressività contestatrice dell’invettiva empia e sacrilega, il sodomita lo guasta e viola fattivamente praticando una sessualità contro natura, che asseconda quel seme del disordine riconducibile al peccato e al mistero del male, che insidia la bontà di Dio e del creato.

Afferma infatti Dante, per bocca di Virgilio, che “natura lo suo corso prende “dal divino ‘ntelletto e da sua arte”, e aggiunge che l’arte umana (e quindi la tecnica e le tecniche) devono comunque seguire la natura stessa:

“l’arte vostra quella [di Dio], quanto pote, segue, come ‘l maestro fa ‘l discente; // sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote.” (Inf., canto XI )

Tutto ciò che è tecnica e artificio, in quanto possono comunque arrecare beneficio, sono dunque leciti, voluti da Dio stesso che dà all’uomo la libertà di inventarli, ma solo nella misura in cui seguono l’ordine della natura disposto da Dio, così come il discepolo segue il maestro.

Se è vero che l’uomo, in quanto libero, dotato di intelligenza e volontà, nonché signore del creato, può in qualche modo continuare l’opera creatrice di Dio per mezzo della tecnica, gli è comunque lecito perfezionare l’operato di Dio, non deviarlo o disfarlo, per rifarlo a suo piacimento.

Qui tocchiamo le fondamenta del tradizionalismo e del conservatorismo, che sono tipici delle varie correnti del pensiero politico della destra non liberale: esiste un ordine di cose stabilito ab aeterno, che all’uomo è dato custodire, valorizzare, perfezionare, “ma non” traviare o disfare, appunto perché “l’arte umana segue quella di Dio, della quale è ‘nepote’”.

Non da ogni eredità naturale è possibile all’uomo emanciparsi, come ritengono i fautori del progressismo neoliberale, in quanto l’uomo, essere creato e finito, può sì mettersi sulla scia del creatore ed imitarlo, ma non sostituirlo o prescinderne.

Tra le suddette realtà immutabili rientrerebbero la famiglia e l’eterosessualità: disprezzarle, non riconoscerne il valore portante di architravi della personalità umana e della società, significherebbe – afferma Dante – disprezzare Dio e la sua bontà!

La destra conservatrice e tradizionalista diffida del prometeismo faustiano, che al motto biblico “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio” (Gv. 1.1), contrappone la parola d’ordine “In principio era l’azione” (dell’uomo).

L’azione umana esercita un potere efficace, ma non le è lecito contraddire il progetto di Dio espresso nella sua parola creatrice, ma soltanto assecondarlo, come fa il discepolo con il maestro: l’arte umana non può che seguire quella di Dio, da cui dipende. In caso contrario, è una forma di “hybris”, di tracotanza che disconosce la finitudine dell’uomo, e non può che avere un esito infausto.

Da quanto detto, risulta chiaro non solo lo sfondo metafisico – teologico del tradizionalismo conservatore delle correnti politiche di destra, ma anche un’altra decisiva caratteristica: il culto dell’ordine e per l’ordine, che diffida del pluralismo ed esclude radicalmente il relativismo.

Il pluralismo infatti ammette diverse interpretazioni dell’ordine, da intendersi come variabilità legittima di un ordine flessibile, di una struttura normativa che ammette varianti e opzioni diverse.

Ancora peggio vanno le cose per il relativismo, in cui si possono immaginare universi valoriali distinti e contraddittori, ma comunque in grado di coesistere l’uno accanto all’altro.

Il pensiero, e direi le metafisiche di destra, optano per un’accezione rigida dell’ordine, interpretando le deviazioni e le variazioni come perversione, corruzione, dissoluzione dell’essere.

Eppure, l’atteggiamento di Dante verso i sodomiti che incontra nei canti XV – XVI, non ignora affatto le sfumature e le distinzioni.

Intanto, Dante sa bene che i sodomiti sono tanti, e anche di condizione ragguardevole, come apprende dal sodomita Brunetto Latini, che fu suo illustre maestro a Firenze negli anni giovanili, che egli ricorda come una figura paterna, cara e amorevole:

“la cara e buona imagine paterna // di voi quando nel mondo ad ora ad ora //m’insegnavate come l’uom s’etterna: // e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo, // convien che ne la mia lingua si scerna.” (Inf., canto XV)

Alla domanda che Dante rivolge a Brunetto, su chi siano i suoi compagni, egli infatti risponde:

“[…] Saper d’alcuno è buono; // de li altri fia laudabile tacerci, // ché ‘l tempo saria corto a tanto suono. // In somma sappi che tutti fur cherci // e litterati grandi e di gran fama, d’un peccato medesmo al mondo lerci.” (Inf., canto XV)

Ma non furono soltanto famosi ed illustri, ma anche benemeriti sotto diversi punti di vista, così da meritarsi il rispetto e la stima di Dante, in primo luogo Brunetto Latini medesimo, verso il quale Dante mostra un atteggiamento di profonda deferenza:

“Io non osava scender de la strada // per andar par di lui; ma ‘l capo chino // tenea com’uom che reverente vada.” (Inf., canto XV)

Ma anche altri ottengono la stima e l’affetto di Dante, quando nel canto XVI s’imbatte in tre illustri sodomiti fiorentini:

“Poi cominciai: ‘Non dispetto, ma doglia // la vostra condizion dentro mi fisse, // tanta che tardi tutta si dispoglia, // […] // Di vostra terra sono, e sempre mai // l’ovra di voi e li onorati nomi // con affezion ritrassi e ascoltai.” (Inf., canto XVI)

Infine, è con questi illustri sodomiti che Dante condivide il suo sdegno per il degrado morale e politico di Firenze, nei seguenti versi famosi. I tre infatti chiedono a Dante se

“cortesia e valor […] dimora // ne la nostra città sì come suole, // o se del tutto se n’è gita fora;” (Inf., canto XVI ), e Dante risponde:

“La gente nuova e i subiti guadagni // orgoglio e dismisura han generata, // Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni”. (Inf., canto XVI)

Dante sa cioè bene, per esperienza illuminata dalla ragione, che la deviazione, che noi chiameremmo dell’orientamento sessuale, o dell’identità di genere, pur essendo una perversione dell’ordine voluto da Dio nella dimensione sessuale, non è per così dire “contagiosa”: il disordine sessuale non è legato a disordine morale o intellettuale, né da affinità né da nesso causale!

E’ evidente cioè che Dante non nutre alcun pregiudizio ottuso verso il sodomita, che per altri versi può piacere a Dio e agli uomini per i talenti che manifesta e per i valori morali e intellettuali che riesce a incarnare nella sua vita e nella sua opera.

Non sarebbe comunque la prima volta che Dante fa questo tipo di distinguo nei confronti dei dannati, che ora gli suscitano il disprezzo (vedi gli ignavi o i fraudolenti), ora il rispetto e la stima.

Nondimeno, il giudizio di Dio è inflessibile (la giustizia punitiva ha la meglio sulla carità?): essendo stati i sodomiti “d’un peccato medesmo al mondo lerci”, per contrappasso camminano su un sabbione infuocato, battuto da una pioggia di fuoco che li tormenta e sfigura.

Per accenno, evidenziamo che il richiamo a un ordine forte, teologicamente e filosoficamente fondato, spiega la contrapposizione frontale della destra conservatrice all’agenda politica del transumanesimo, che mira a ottenere un uomo potenziato con le biotecnologie, e ibridato con protesi ipertecnologiche, e a quella dell’ideologia gender, che mira a scalzare l’egemonia dell’eterosessualità a vantaggio di una sessualità fluida e polimorfa!

Più in generale, all’enfasi liberale sulla libertà dell’individuo, che essendo faber fortunae suae, avrebbe il diritto a una piena autodeterminazione, e a un’emancipazione illimitata dai vincoli che la natura ha posto alla condizione umana, il pensiero di destra, tradizionalista e conservatore, fautore di una concezione rigida dell’ordine, contrappone una visione che sottolinea la finitudine dell’uomo, che si realizza non espandendo indefinitamente il suo io, ma nelle relazioni che ne limitano le pretese, ma che al contempo lo integrano in una dimensione più alta e completa.

Il Dante politicamente scorretto, che in qualche modo emerge da quanto detto, è un Dante più veritiero, vitale proprio in quanto divisivo, capace comunque di sollevare problemi e fare riflettere, molto diverso dunque da quello dello stile celebrativo, ma sterile e vuoto, che finora ha prevalso.


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Carletto Romeo