Carletto Romeo
STANDBY
“Dici che saremo come prima? Dici che riavrò i miei abbracci? Dici che ci guarderemo di nuovo negli occhi, di persona? E dici che avremo di nuovo coraggio? Torneremo a dormire per davvero? E chi c’era prima… ci sarà ancora? Dici che avremo una direzione da seguire? E la musica, il cinema, le feste di paese? Dici che torneremo a fare l’amore o semplicemente resteremo vicini perché abbiamo conosciuto la… paura? Paura di che? Paura di morire, per esempio.”
Il primo consiglio di PiccolaFlò, dopo una Pandemia che non si è ancora conclusa: non ho un consiglio, oggi. Posso solo dire che, quando si resta particolarmente colpiti da qualcosa, le parole scompaiono, imprigionate nella gola.
Tu vorresti anche gridare ma semplicemente, quelle, rimangono a metà e invece di buttare tutto fuori, di sputarle, rischi di strozzartici, con tutta quella roba velenosa che ti è rimasta in corpo. Certo, quello che ci è accaduto, uno lo vorrebbe piuttosto dimenticare. Però non si può, perché ci siamo ancora dentro, va ancora digerito il tutto. Qualcuno riuscirà ad espellerlo, qualcun altro forse no.
Non resta che attendere e navigare, a vista, con una qualche speranza in più (dataci dai vaccini) di approdare sulla terraferma, infine, sani e salvi.
Standby
Uno dei significati della parola inglese “standby” è: “in un aeroporto, lista di attesa per viaggiatori sprovvisti di prenotazione…”
Già, eravamo del tutto sprovvisti di qualsiasi tipo di “carta” per affrontare un’Odissea come quella del COVID-19 e quindi dobbiamo attendere e sperare che non accada più nulla di grave, che siamo passati già dal giro di boa.
Un “imprevisto” di portata mondiale, come una “guerra”, che guerra non è stata. Un “disastro” globale. Direi una tragedia, per tante persone, tantissime. Un nemico invisibile che colpisce fisicamente e psicologicamente. Per molti è stata una “guerra di nervi”. Ad alcuni sono “saltati”. Come al mio vicino di casa, ad esempio, che delirava e anche alle due di notte, nel silenzio assoluto dei vicoli, rideva, parlava da solo… Chissà chi o cos’ha visto. Mi chiedo quanto abbia sofferto. Mi chiedo quanto abbia riso (e lo sentivo) e quanto abbia pianto (non l’ho mai visto). Ora sembra “rientrato”. Da dove? Da un altro pianeta. Potere del farmaco.
Mi chiedo se questo ritmo lento e malinconico ci farà vivere un’estate come quella della canzone “Guardia ‘82”…
Non saprei dire, col senno di poi, se questa volesse essere una “lezione”, un “avvertimento”, un “esperimento”… Non ce lo deve dire di certo una Pandemia che ci sono persone più forti, altre meno, Stati più ricchi, Nazioni più povere, persone paurose, altre coraggiose, “eroi” ed infami, altruisti e avvoltoi, stronzi e Sante, prostitute e infermieri… Ci sono e ci saranno sempre!
Qualcuno si salverà, qualcuno soccomberà. Qualcuno è diventato stramiliardario, nell’attesa. In tanti soffriranno di ogni tipo di “carenza”, dai soldi all’affetto, al ristoro notturno decente. Persone strappate, che non si sono riviste mai più, persone divise, separate, che attendono, in standby, che i propri familiari guariscano, persone che bruciano, persone, persone, persone, non solo numeri ma nomi, parole, nomi, serrati nella gola…
Siamo stai fortunati, noi lo abbiamo potuto raccontare. Abbiamo avuto i telefoni con la telecamera, anche se non è la stessa cosa del vedersi di persona. Con i pixel, per quanto sia alta la definizione dell’immagine, può sfuggire la vera espressione, la vera “luce” della persona che sta dall’altra parte. Anche a video si può fingere che tutto andrà bene, che tutto va bene, che tutto è andato abbastanza bene. Il segreto di una bugia riuscita? Basta scegliersi il posto e la luce giusta. In fondo è come farsi uno splendido selfie in mezzo allo schifo più totale: riprendi solo il viso e puoi far finta di essere in una riserva ecologica e non a ridosso di una discarica a cielo aperto.
SENSI…
La vita è fatta di punti di vista. La vista è importante, certo. Quando vedi qualcuno di speciale ti viene spontaneamente da sorridere, anche se lo vedi solo col pensiero. E se non vedi, senti: anche l’udito è altrettanto fondamentale. Quando ti parlano e riesci a immaginare un mondo, al di là, ricco di emozioni colorate, come un arcobaleno. E il gusto… il gusto di un gelato fresco? Di un bacio salato? Di un cucchiaino di tiramisù, che fa bene all’umore (molto meno alla linea)? E l’olfatto? L’hai sentito l’odore della primavera? Anche quest’anno, la vita che riprende ogni volta, nonostante tutto… è sempre commovente, come la nascita di un bambino. E il tatto? Posso toccare… Posso toccare di nuovo una mano senza dovermela lavare? Lo faccio perché sono vaccinata e allora voglio di nuovo stringerla quella mano. Ti voglio conoscere così, la prima volta. Sentendone il calore, la morbidezza o la rugosità della pelle, la forza, la voglia di vivere, tutto il tuo mondo, in una stretta di mano, per poter dire di nuovo “Nice to meet you”, è bello incontrarti, vederti, aggiungerei “esplorarti”, toccandoti. Magari faccio finta di essere una non vedente, per potermi prendere il lusso di stare ad occhi chiusi e di leggerti anche il volto, sfiorandoti con i miei polpastrelli. Se poi volessimo aggiungerci anche i caldi e rassicuranti abbracci tra amici, familiari, ma sì, anche conoscenti, questo mi farà sentire un calore profondo invadermi il corpo, sciogliendo tutti i muscoli tesi, rigidi, ricordandomi che so vibrare come una foglia al vento. Sono sicura che basterà questo a mandare via un po’ di tristezza: ogni giorno ci vorrebbe un “bagno” di abbracci, come quando ti tuffi nel mare e le onde ti avvolgono per lavarti tutte quelle paure che hai (come fa Montalbano tutte le mattine, anche d’inverno).
Ma c’è un altro Senso… quello dell’istinto. Quella sensazione che hai, quasi profetica, da veggente. Quel senso “magico” di vedere cose che non hai visto ancora. Di sentire il nascosto, il non detto. Di guardare oltre il visibile. Di andare negli abissi del tuo profondo, nell’abisso altrui, e di capire o intuire o riconoscere quello che c’è.
Anche adesso, non lo so descrivere poi mica tanto bene… piuttosto, è un senso che non si “dice” ma che si “vive”, il sesto.
Certi giorni poi, mi sento come una “Tizia” che conosco, persa in un labirinto di paure che il Coronavirus ha solo acuito. Alla fine di questo tunnel, di cui forse intravedo l’uscita, cosa mi aspetta? Sono proprio sicura di voler uscire da questo intervallo, da questo Stand-by? Sono pronta? Ce la posso fare a stare di nuovo tra la gente? Tutto come fosse “normale”?
A questo punto della storia, sono trascorsi 14 mesi. Non ho mai pensato di morire ma ho avuto tanta paura per i miei cari. Mesi di solitudine ma anche di riflessioni (che sto ancora digerendo). Mesi di rabbia, di sconforto. Mesi di cibo, di arte. Mesi di apparente stabilità ma la mascherina, mai abbandonata del tutto, mi ha sempre rimandato quella sensazione di instabile e precario, di allerta costante. “Non abbassare mai la guardia”, mi ronzava nella testa, spesso anche adesso, e la stessa mascherina mi fa diffidare ancora, perché ancora non è passato ma presente.
Ma la vita che finisce, quella che è già finita? No, non finisce mai, ormai ne sono consapevole, finché io la posso ricordare. Dovrò dire al mio corpo di cancellare tutto, di resettare, quando diverrà insostenibile accettare che tutto va via inesorabilmente, come l’acqua del fiume che porta al mare. Posso decidere di accettare che i palloncini sfuggano alle nostre dita, seppur belli, e la colpa non è nostra se non abbiamo tenuto stretto il filo. Si vede che volevano o dovevano andare. Oppure posso decidere di voler dimenticare tutto e, a quel punto, cancellare il mio mondo, con tutti i miei affetti… il che è molto più triste per chi viene cancellato che per chi cancella…
RICORDI…
“Driinnn… Hallo… ajhljhalfh fakjlkajglakj (parole incomprensibili in svizzero-tedesco).
Hello… Sorry, I don’t speak German. I’m italian, my name is Daniela and…
Sì, parlo anche italiano. Chi cerca?
Ah, ecco, meno male (penso). Cerco la signora xxxxx Rosa. Sono Daniela, chiamo dall’Italia.
Certo, gliela passo subito, è qui.
Ciao Rosa, come stai? Ti stavamo cercando da un po’ e abbiamo saputo che adesso ti hanno ricoverata in una clinica. Stai bene? Ti passo la mia mamma che ti vuole salutare.
Chi sei? Io non ti conosco.
… Sono Daniela. Daniela, la figlia di Mario. Non ti ricordi di me?
No, non mi ricordo niente. Non ti conosco. Come hai detto che ti chiami?
… … … Ti passo tua cugina che ti vuole salutare. Tieni il telefono mamma, salutala.
L’avrà riconosciuta? Il mondo di Rosa è scomparso e noi con lui. Non sa che siamo i suoi parenti, i suoi cari affetti. Tutto ciò è molto triste. La persona è andata via prima di andarsene col corpo, non so cosa è meglio e cosa è peggio. Mi dico soltanto che così non sente più i dispiaceri, non soffre più. Chissà se davvero non soffre più.
Ho rassicurato mia madre, che sì, l’ha riconosciuta (le bugie che hanno un senso). Ho chiesto all’infermiera gentile…
Da quanto tempo la signora Rosa non ricorda più nulla?
Oggi non sta bene ma non è sempre così. Qualche volta le torna un po’ di memoria ma poi piange tanto e si dispera… e allora le diamo un calmante.
Mi è scesa una lacrima, ho ringraziato l’infermiera. Ho detto che avremmo richiamato un altro giorno ma… non credo che richiamerò mai più. Nel mio cuore ho deciso di salutarla adesso, voglio ricordarla così, lei e tutti gli altri…
“Oh oh, mi è semblato di vedele un gatto! – Presciooooooooo”… Gatto Silvestro e Titti, il canarino giallo, una scenetta imitata dal cartone animato con una voce inconfondibile e una risata fresca, io che rido. Luglio, fa caldo, ma sul tavolo c’è una stecca di cioccolato Frey, bianca, mandorle e uva passa, la mia preferita e loro lo sanno, me l’hanno regalata apposta. Mi sembra quasi di gustarla, mi sembra quasi di vederli, di sentirli parlare tra loro, in un battibecco no-sense alla Sandra-Raimondo… Non li posso toccare, quello no, ma va bene così, mi è bastato tornare agli anni ’80, in un secondo, e sono felice di averli potuti salutare, loro e quella bambina con le code, felice perché oltre al dolce della colazione adesso stiamo per andare al mare… Arrivo!
Sarete sempre con me finché vi ricorderò, Bruno, Antonio… Rosa…
Vi mando una cartolina… Tanti baci dalla Calabria, la piccola Dani.
PiccolaFlò
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