Dottore, sto male da morire

Quando a primavera si rimette il piede sulla bilancia, proviamo tutti una fitta al fianco, senso di colpa per la quantità spropositata di calorie ingurgitate in mesi di chiusure.

Non ce la faccio più oggi, volete tutti le impegnative per le analisi del sangue!”
Lo so Dottore, che ci vuoi fare, non possiamo pensare solo al virus pandemico del XXI secolo, vogliamo farci i prelievi del sangue per vedere anche il colesterolo a quant’è arrivato. Se è il caso prenderemo anche un appuntamento con il nutrizionista, l’endocrinologo, lo psicologo, il personal trainer… insomma, tutti gli specialisti in circolazione, pur di togliere quei kg in più e rimettersi in forma prima delle “riaperture”. A proposito, ci saranno e quando? Quelle agognate zone gialle e addirittura bianche, tanto da autorizzarci al via libera, stile “tori di Pamplona, all’apertura dei cancelli”?
Lo so, lo so, seguendo un andamento alla “metti la cera e togli la cera”, durante tutto l’arco dell’anno, noi la Costanza, non l’abbiamo conosciuta affatto. Costanza chi? Non veniva a scuola con me, non mi sembra proprio, perlomeno, io non me la ricordo.”


DOTTORE, STO MALE DA MORIRE…

Quando a primavera (che poi dura tre giorni e già puoi andare al mare) si rimette il piede sulla bilancia, proviamo un po’ tutti, chi più chi meno, una fitta al fianco che non è altro che un acutissimo senso di colpa per la quantità spropositata di calorie ingurgitate durante i mesi di chiusure, rinunce, ansie e preoccupazioni, di tutti i tipi (quelle che avevi già e quelle che ti sono venute nell’ultimo anno nefasto). Seguono esami clinici a raffica:

“Dottore, mettici per prima cosa il colesterolo, poi i trigliceridi e poi… e poi tutto quello che ti vieni in mente. Un sierologico? Ma sì dai, mettici pure quello!”

Il medico di famiglia passerà poi il suo tempo a interpretare i vari referti (esami delle urine, delle feci, ecc ecc) dei suoi assistiti. Per lui sarà una vera frustrazione perché lo sa già cosa, di solito, risulterà alterato. In più, conoscendo la psicologia del proprio paziente, ascolterà “il malato immaginario” di turno colto dall’ipocondria, che si vede in un colpo solo… “malato da morire”.

Ma se poi, invece, il malato è un malato vero… e allora che si fa? Dovrebbero fare un corso agli specialisti su come riferire al paziente le cattivissime notizie, soprattutto se si tratta di un male aggressivo, di quelli da cui doversi difendere con i pugni e con i denti. Può darsi che sia troppo difficile da dire con tatto e con rispetto e che quel “Ricordati che devi morire” (tratto da un noto film) lo sappiamo tutti, vero, già in partenza, ma si fa una gran fatica sia a ricordarselo sia ad accettarlo.

E allora è così che il tono dello specialista diventa “asettico”, freddo, diretto, apparentemente insensibile. Chi è abituato alla morte diventa magari più “forte”, o invece molto più vulnerabile. Basta guardare i “becchini” che piangono. Non sempre riescono a mantenere un distacco. Soprattutto quando muore qualcuno che conoscono bene, oppure quando si immedesimano.

Prima o poi tutti finiremo stesi in orizzontale con delle persone che piangono per noi. Non vi piace l’argomento, vero? Come non capirvi. Spesso la morte è il più grande dei nostri tabù. Meno se ne parla e meglio è. Più ci chiudiamo dentro casa e più la Signora col mantello nero e con falce passerà lontano da noi. E allora, via libera a tutte le ipocondrie dei nostri tempi. Che a venti, a trenta, a quaranta, non si pensa mica alla nostra dipartita.

Ma compiuti i 50, già, si cominciano a sentire tutti gli acciacchi, una certa paura di ammalarsi, la precarietà di questo vivere e il non senso di tutto questo. Non facciamo altro che spendere denaro in specialisti, ci facciamo rivoltare come calzini, facciamo prevenzione, ci rimettiamo in forma per allungare di qualche decennio il nostro soggiorno sul pianeta Terra, sperando ne valga la pena.

E ben venga l’ipocondria sia di chi ricerca un male sia l’ipocondria di chi non ne vuol sapere nulla del proprio stato di salute. Si tratta di due facce della stessa medaglia.

Sarebbe bello se fossimo come in quel film di qualche anno fa in cui non si invecchiava mai, semplicemente si aveva un cronometro sul braccio, con un tempo stabilito che scorreva all’indietro, come una clessidra. Finito quello… finito tutto. Senza malattie e senza sofferenze, senza la paura di un virus sconosciuto. Un giorno forse ci arriveremo. Chissà…

Il cappotto lungo, il vestito nero, gli occhi cerchiati di pianto, gli occhiali scuri a nasconderli. La mia compagna delle elementari veniva dietro il feretro di suo padre. Lo so cosa si prova, essere soli, in mezzo alla gente, col proprio dolore. Mi ha vista, ci siamo guardate, ci siamo capite. Avrei voluto darle un abbraccio ma non era il momento giusto e neppure si poteva fare di più.

Purtroppo il protocollo prevede di rimanere composti, un dolore riservato, niente lacrime, solo silenziose, dietro gli occhiali scuri. Il feretro è uscito dalla macchina ed è stato caricato in spalla per affrontare la scalinata che porta in Chiesa. Lì attendono i parenti, quelli più stretti. Gli altri, chi vuole, fuori. Funerali ai tempi del Covid.

Ma chi è diventato il morto adesso? Me lo chiedo sempre, cosa ne sarà di Lui, da questo momento in poi. Adesso la comunità si stringe intorno alla famiglia e partecipa commossa al dolore. E poi, se ne ricorderanno? Per quanto tempo ne parleranno ancora? Le persone che ci lasciano si portano dietro un pezzo della nostra vita con loro. Ma restano comunque nei nostri pensieri, sempre nel cuore. Talvolta anche quando guardi un tramonto, o le onde del mare, o un uccellino che vola… come uno spirito guida che ci protegge, senti che qualcuno è lì con te.

Tornando a noi… Potremmo, per un po’, prendere un caffè (all’aperto sì, ora si può) senza parlare di colesterolo e trigliceridi? Soprattutto tacere sul Virus? Potremmo non stare a sentire tutti i malanni e gli acciacchi, nostri e altrui? Potremmo prenderci una vacanza dalle nostre paure? Magari! In questi momenti vorrei riavere i miei vent’anni.

Purtroppo riusciamo a cambiare argomento solo per pochi minuti ed era così bello quando con le amiche tue coetanee o giù di lì potevi parlare di gossip locale, un sano chiacchiericcio che non sapeva di nulla ma solo di passatempo scacciapensieri (che neppure ti interessavi più di tanto ai fatti altrui ma lo facevi solo per non pensare ai tuoi guai). Ah, sembra una vita fa, un secolo fa!
Una volta, un ultra centenario mi ha detto: “Non correre sempre, non scappare, perché la vita va vissuta con calma. Se corri troppo non ti gusti il paesaggio.”

… Se corri troppo non ti gusti il paesaggio… Forse è per questo motivo che un giorno ho messo uno zaino in spalla e ho cominciato a camminare e camminando camminando sono arrivata più lontano di quando non avessi mai fatto prima, a piedi, non sapendo neppure di avere tutte quelle risorse dentro di me che passo dopo passo andavano, per di più, rigenerandosi.

Forse voleva dirmi che non dobbiamo avere paura per riuscire a godere del nostro tempo, forse voleva dire questo, oppure che la bellezza del paesaggio è necessaria come l’acqua per l’assetato, senza dare nulla per scontato… Insomma, ci sto ancora pensando al o ai significati possibili, soprattutto come si fa ad arrivare al traguardo dei cento anni, con tutti ma proprio tutti i sensi, anche il sesto, perfettamente funzionanti.

Buona Vita a tutti noi…

Un passo dopo l’altro, la vostra PiccolaFlò


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Daniela Rullo

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Carletto Romeo